CINEMA Dolor y gloria

La locandina del film di Almodovar, Dolor y gloria

DOLOR Y GLORIA. Spagna. Regia: Pedro Almodovar. Interpreti: Antonio Banderas, Penelope Cruz, Asier Etxeandia, Leonardo Sbaraglia, Julieta Serrano, Raul Arevalo.
* visto in edizione originale spagnola, con sottotitoli in italiano.

In Dolor y gloria c’è tutta la malinconia di Pedro Almodovar ma senza l’abituale ironia  che ha reso divertenti molti suoi film. A parte l’iniziale viaggio attraverso le tappe dei suoi malanni.
Ma quando Pedro porta in scena il dramma, sa sempre andare a fondo, muovendo le leve della commozione, della malinconia e di un dolore che diventa l’anima caratterizzante del film. C’è molto di autobiografico in questo Dolor y gloria, più che in altre sue pellicole. Non sarà un film perfetto ma sa pian piano farsi strada e conquistare lo spettatore, nel rimando tra un passato fatto di povertà e dignità, di sentimenti, turbamenti e aspirazioni. Il regista di successo (Antonio Banderas, intenso  e incisivo quanto occorre) piegato dal dolore, dalla sofferenza, volge lo sguardo al suo passato di bambino, calzoncini corti e talento in embrione, la scoperta inconsapevole di una sessualità diversa. Una mamma caratterialmente indomita e attiva (da giovane ha il piglio di Penelope Cruz, da vecchia una Julieta Serrano che ne ripropone magistralmente il carattere) che riemerge nel ricordo, non privo di sensi di colpa ormai insanabili, ma avvolti in una rassegnata dolcezza di fondo.

Dopo la gloria il regista ha conosciuto il dolore, in contrasto con l’attore del suo film capolavoro per un’interpretazione di successo ma non in linea con ciò che avrebbe voluto l’autore. E nel momento del bilancio, il riavvicinarsi, scontroso ma non privo di affetto, strappa una sceneggiatura autobiografica all’oblio del privato, per rinnovare diversamente il sodalizio. Stavolta rappresentando a teatro un monologo che sa di consuntivo e di rimpianto, ma anche un amoroso e amorevole sguardo a ciò che fu (e non fu).

Significativo il percorso del regista malato e rinchiuso in se stesso, ormai sfuggente il mondo, come se ricordare i giorni del successo e dell’amore acuisse il dolore per ciò che ha perduto. Eppure continua a scrivere, per far affrontare e rappresentare terapeuticanente i fantasmi del passato. E basta una scintilla, l’attore che s’innamora del suo monologo e vuole rappresentarlo a  teatro, per farlo in qualche modo riemergere strappandolo almeno alla solitudine intellettuale.

Un viaggio sincero e dolente, senza clamori ma raccontato e vissuto con grande intensità e composta semplicità, che lascia spazio all’amicizia e all’empatia. Chi soffre delle problematiche fisiche che frenano e condizionano il regista Banderas-Almodovar, guarderà con maggior comprensione al suo personaggio.
Una curiosità: la casa dove vive il regista è stata ricostruita a modello di quella reale di Almodovar e nel film ci sono i colori netti tipici del suo cinema, anche se più crepuscolari.

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Leandro De Sanctis

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