CALCIO La tattica, la tv e le donne

Elena Tambini, ex arbitro, opinionista di Mediaset Premium

Calcio, la tattica, la tv e le donne

Nel corso della trasmissione Quelli che il calcio, su Rai2, domenica scorsa Fulvio Collovati, campione del mondo con la Nazionale nel 1982, ha pronunciato un concetto che ha scatenato un putiferio di reazioni: “Quando sento una donna parlare di tattica, anche la moglie di un calciatore, mi si rivolta lo stomaco. Se parla della partita bene. ma non può parlare di tattica, perché la donna non capisce come un uomo, non c’è niente da fare”. Poi Collovati si è scusato: “Mi scuso per le frasi involontariamente sessiste pronunciate. Sono state inopportune e me ne dispiaccio, non era mia intenzione offendere nessuno“.

Sull’argomento è intervenuto anche Il Corriere dello Sport-Stadio, che ha dedicato una pagina alla discussione, proponendo il commento difesa di Giancarlo Dotto e il contro commento, attacco, di Valeria Ancione.
Ecco le riflessioni di Valeria Ancione, giornalista presso il Corriere dello Sport-Stadio e scrittrice.

di Valeria Ancione

Le parole hanno peso e conseguenze. Come quelle di Collovati, accompagnate da una mimica che lasciava intendere che la testa delle donne non è programmata per capire di calcio. In sostanza, nella distribuzione delle abilità dentro al cervello, noi non saremmo state dotate di… di… di… di quel qualcosa che permette di capirne di calcio. Abbiamo un limite, in sostanza. Che poi non sarebbe un limite, basterebbe che restassimo al nostro posto. Ecco, le conseguenze: le donne devono stare al loro posto. E il calcio non lo è. Il calcio è il posto dei maschi, è quella fortezza che fino a ieri li ha fatti sentire uomini dominanti e che oggi rischia l’invasione e il confronto. La paura allora determina i confini. E la donna accettata nel calcio è quella bella, truccata, col tacco 12, sensuale, quella che distrae l’attenzione, la porta su di sé e non su quello che dice, che è secondario, quella che esaspera la femminilità, come se fosse un tacco a determinarla e se parlare di calcio o giocarlo “come un maschio” la facesse perdere. Stereotipi.

Lo sketch di Collovati è stato ridicolo. Però gli riconosco il coraggio di dire quello che pensa, che poi è quello che pensa la stragrande maggioranza degli italiani. Uomini. Lui però lo ha detto, si è sfogato. Anzi lo ha vomitato il suo pensiero, un luogo comune talmente remoto e appunto così ridicolo che ci ha proprio fatto una brutta figura.

L’Italia è un Paese per maschi, e il calcio non è che lo specchio della nostra società, e di una cultura che non vuole cambiare, ma che soprattutto non concederà mai alle donne la parità nel calcio. Perché concedere la parità o avvicinarsi alla parità sarebbe come abbassare il ponte levatoio dell’ultima fortezza dove l’uomo si è abbarbicato e si sente uomo e dove la donna è programmata per altro, per cucinare, accudire, abbellire. Se così non fosse alle trasmissioni televisive ci sarebbero le opinioniste e non solo le “presentatrici”; i grandi club investirebbero qualche giorno di stipendio dei loro top player nel calcio femminile; l’Italia femminile che va ai Mondiali avrebbe più seguito e visibilità di una maschile che è di là da divenire; si garantirebbero alle calciatrici i diritti minimi; si permetterebbe alle donne di allenare il calcio professionistico; a Panico che è ct di un Under maschile non si domanderebbe ogni volta “ma entri nello spogliatoio?” o altrimenti la stessa domanda si dovrebbe fare agli uomini che allenano le donne; si riconoscerebbe che una donna è un valore aggiunto. 

«Che destino infelice è avere una moglie allenatrice», canta Peppe Servillo ne “Lo sfogo del mister”. E ha maledettamente ragione. Una donna che parla di calcio non si può sentire, non perché faccia vomitare, ma perché ha ragione. Mi fa tanta tristezza tutto questo perché il calcio è il posto giusto per tutti: il calcio è come l’amore non ha sesso. E per fortuna, Collovati, il calcio non è solo tattica, non è solo verticalizzare ma anche poesia.

Leandro De Sanctis

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