Il caso Schwazer su Netflix | Recensione

Il caso Schwazer su Netflix | Recensione.
Grazie a Netflix anche chi non è abituato a seguire vicende sportive e dell’atletica potrà avere tutti gli elementi necessari per comprendere che razza di ingiustizia sia stata attuata nei confronti del campione azzurro. Guardando la docu serie di Massimo Cappello anche chi è digiuno della vicenda o che magari ha solo distrattamente ascoltato o letto ciò che accadde nel 2016 ad Alex Schwazer, il marciatore campione olimpico a Pechino 2008, comprenderà come andarono le cose in questa squallida vicenda.
E soprattutto potrà rendersi conto dell’innocenza di Alex Schwazer, finito stritolato dal potere incontrollato e incontrollabile delle grandi organizzazioni sportive. Cosa che sa bene chi ha seguito il caso con occhi professionali e libero da condizionamenti. La serie di Massimo Cappello, scritta da Marzia Maniscalco, ricrea e ripercorre le tappe della Via Crucis sportiva e umana di Schwazer (ma anche del suo allenatore Sandro Donati) aggiungendo quella enorme carica emotiva e umana anche attraverso le testimonianze delle persone che furono accanto all’azzurro nei vari momenti. Una lunga, intima e impressionante confessione di Alex, il puntuale racconto di Sandro Donati, il contributo illuminante di Attilio Bolzoni, che da esperto professionale di trame mafiose, è la persona più adatta ad offrire alla docu serie la chiave di lettura più corretta e aderente alla realtà. Anzi, l’unica.
Quattro puntate che sono un viaggio a ritroso nell’inferno attraversato da Schwazer e Donati, impreziosite da paesaggi e momenti meravigliosi, da una colonna sonora adeguata, da parole toccanti che svelano tormenti e ricordi, speranza e amarezza, un amore per la marcia che dopo essere riemerso dalla squalifica per vero doping, il campione era tornato a vivere. C’è Carolina Kostner, c’è la moglie Kathrin Freund, ci sono la mamma (Marie Louise) e il papà (Joseph). Ma anche i magistrati del Tribunale di Bolzano che giudicarono il marciatore (Guido Rispoli, Walter Pelino), il colonnello Lago comandante dei RIS di Parma che entrò in scena quando si analizzò il Dna contenuto nelle provette. Il presidente del Coni Giovanni Malagò, L’avvocato Gerhard Brandstatter, Mario De Benedictis. Il direttore generale della Wada, Olivier Niggli unica voce e volto del mondo che ha decretato la fine sportiva di Schwazer ad apparire. Le sue dichiarazioni tese a svilire e contrastare tutto il castello evidente delle anomalie che hanno caratterizzato il caso, negando tutto ciò che invece la serie mostra e lo spettatore incuriosito ha capito. Perché il caso Schwazer non ha avuto nomi, ma fatti si.
Fin dall’inizio sul Corriere dello Sport (che finché ci sono stato io ad occuparmi del caso ebbe una posizione inequivocabile documentando ed evidenziando l’innocenza di Schwazer) usai la parola anomalia, che ricorre spesso anche nella serie. E non è vero, come viene affermato, che tutta la stampa si dichiarò scettica, io ed altri colleghi intellettualmente indipendenti (come ad esempio Valerio Piccioni, Gazzetta dello Sport) fummo sempre chiari nell’esporre le cose man mano che emergevano, scrivendo in base ai fatti. La catena di custodia delle provette riempite nel controllo dell’1 gennaio 2016, era stata clamorosamente violata, fin dal nome scritto sulle provetta e poi nelle 15 ore in cui erano rimaste incustodite. Ma non torno su cose già scritte e riscritte, lasciando allo spettatore la visione istruttiva e la possibilità di farsi un’opinione precisa su come andarono le cose, su chi dice la verità e chi no. E la serie, che si snoda come un legal thriller per molti aspetti, fa bene anche ad andare a ritroso nel tempo, a mostrare i collegamenti con il passato non solo di Schwazer ma anche di Donati, che vide stroncata la sua carriera quando rifiutò di dopare i suoi atleti.
Tutti gli altri accusatori, divenuti imputati o comunque coinvolti a vario titolo in base a quanto emerso dalle indagini, non hanno accettato l’invito a parlare e apparire, come si legge nei titoli di coda.
Ciò che andava raccontato era talmente complesso che le quattro puntate non hanno compreso accenni alla precedente vita sportiva del ragazzo Alex Schwazer, l’hockey ghiaccio, il ciclismo.
Ma è peccato veniale perché Il caso Alex Schwazer fa capire chiaramente come abbia purtroppo rappresentato la fine dell’antidoping, lo smascheramento di un sistema che da allora non può più essere credibile. Come in altri sport, anche nell’atletica, è diventata solo una questione di soldi (il doping ne muove tanti). Lo sport, gli atleti, sono solo un aspetto marginale. E nessuno li tutela.

Il caso Schwazer, la verità per 230 milioni di abbonati nel mondo

La crescita di Netflix, anno su anno è stata dell’1,9%. Al 31 dicembre 2022 il numero di abbonati ha raggiunto quota 230,75 milioni, il 4% in più rispetto all’anno precedente. I nuovi iscritti – al netto di quelli che hanno abbandonato la piattaforma – sono 7,7 milioni. E’ confortante rendersi conto di quanto sia ampia la platea di persone che nel mondo potranno vedere Il caso Schwazer e farsi un’idea su cosa è avvenuto, su chi è innocente e su quali sono i veri olpevoli.

Nei titoli di coda, i rifiuti
Nei titoli di coda: i rifiuti

Leandro De Sanctis

Torna in alto