Le campionesse 2002 possono ancora dare tanto al volley azzurro

Le campionesse 2002 possono ancora dare tanto al volley azzurro.
Un’impresa storica come quella compiuta vent’anni fa dalla Nazionale femminile di pallavolo, primo e unico oro mondiale del nostro volley femminile, non può essere solo una fugace data sul calendario, un saluto rapido per consegnarle alla Hall of Fame di questo sport azzurro.

Rivedendole a Bologna, splendide ragazze diventate dopo vent’anni splendide donne nel pieno della maturità, è naturale porsi delle domande e lanciare proposte su cui credo sarebbe giusto riflettere, nell’interesse non delle singole protagoniste ma di tutto il movimento. Sbaglia di grosso e pecca di scarsa cultura sportiva chi pensa che accendere i riflettori sull’oro del 2002, sul Miracolo di Berlino che con Pasquale Di Santillo ho raccontato in un libro (editore Calzetti e Mariucci) e poi ulteriormente a lungo trattato in un omonimo podcast della Fipav (sette puntate, oltre duecento minuti di audio), sia semplicemente volgere lo sguardo al passato. Magari pensando che così si trascuri il presente.


Il presente e il futuro spesso nascono dal passato

Come si fa a non capire che proprio dalle esperienze del passato spesso di costruisce il presente e il futuro? Nell’era della comunicazione, si ritiene inutile mettere in vetrina e pubblicizzare i giorni migliori del volley azzurro femminile? Non scherziamo. Le cose belle e straordinarie vanno conservate gelosamente, esibite con orgoglio. Non ci si dovrebbe mai abituare alle vittorie e quelle speciali devono essere lucidate, apprezzate, fatte conoscere alle nuove generazioni.

Eppure basterebbe pensare a come il progetto azzurro che ha condotto le donne all’oro iridato del 2002 sia stato in qualche modo ispirato al progetto che fruttò poi il primo oro della Nazionale maschile, con Velasco ct nel 1990 a Rio (a cui ho dedicato il libro Il tesoro di Rio, Edizioni Slam, Absolutely Free).

Dove finora le cose divergono è sul modo in cui la pallavolo ha poi accolto e considerato i protagonisti di questi ori mondiali. Quasi tutti gli azzurri del 1990 sono ancora nella pallavolo: molti come allenatori, Anastasi e De Giorgi sono arrivati al ruolo di ct della Nazionale, Marco Bracci fu vice ct delle donne con Massimo Barbolini, altri nel mondo della comunicazione a vario titolo (Lucchetta, Zorzi).

E le donne iridate? Praticamente scomparse dai radar del volley e dell’azzurro. E’ vero che Francesca Piccinini ha in fondo smesso da poco di giocare e anche Eleonora Lo Bianco ha avuto una lunga carriera, ma è possibile che formidabili atlete come appunto le azzurre del Miracolo di Berlino, non siano mai state chiamate in causa per attingere alla fonte della loro esperienza vissuta sul campo? Rachele Sangiuliano e Francesca Piccinini le ascoltiamo come commentatrici in Tv, ma direi che il ruolo va loro un po’ stretto.
Proprio scrivendo e registrando Il miracolo di Berlino, sono emersi aspetti supplementari riguardanti le esperienze che molte azzurre hanno vissuto e stanno vivendo. E’ un dato di fatto che per le donne allenare in Italia ad alto livello sia una chimera. Ma non ci sono solo le panchine…
Comunicazione, promozione, lavoro tecnico sui fondamentali (la Nazionale Usa insegna) e motivazionale, psicologico. Se penso alle parole che Giacomo Sintini ha rivolto pochi giorni fa alle giovanissime pallavoliste del Memorial Scozzese, al Pala Volleyrò, mi convinco sempre più dell’importanza che le esperienze di chi nel volley ce l’ha fatta, possono essere preziose per la gioventù che cresce e sogna.

Pensando alla qualità che ha raggiunto la Nazionale femminile, capace di esprimersi ad altissimo livello ma non ancora riuscita a raggiungere il top assoluto in un Mondiale e in una Olimpiade, credo che, forse, quel poco che manca per un ulteriore salto di qualità, sotto l’aspetto tecnico nei rispettivi ruoli ma anche parlando di quelle sfumature psicologiche che spesso fanno la differenza, sia pure nell’ombra, potrebbe darlo qualche protagonista di quell’Italia mondiale. Entrare nella Hall of Fame in questo caso non dovrebbe essere un atto di archiviazione di un trionfo storico, potrebbe essere un nuovo inizio. Un’eredità da tramandare, specialmente al giorno d’oggi in cui la memoria è tristemente fugace.

Avere un capitale umano e pallavolistico del genere e non sfruttarlo, penso sia sbagliato. Perché non coinvolgere chi è pronta a dare la sua disponibilità con un ruolo che possa aiutare le bravissime giovani azzurre di oggi? Altre nazioni lo hanno fatto, penso che la Federazione farebbe bene a valutare la possibilità di sfruttare ancora quelle campionesse, ora donne equilibrate e serene. Il modo e il terreno per farle giocare ancora accanto alla maglia azzurra, si potrebbe e dovrebbe trovare. Sarebbe bello se la Fipav almeno ci pensasse.

Leandro De Sanctis

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