Birdman | Recensione film

BIRDMAN – Regia: Alejandro Iñárritu. Interpreti: Michael Keaton, Emma Stone, Edward Norton, Naomi Watts, Zach Galifianakis

* visto in edizione originale inglese, con sottotitoli in italiano

Da Amores perros a Babel, da 21 grammi a Biutiful, Inarritu non ha mai fatto film banali, unendo la sua cinematografia con un comune denominatore: l’introspezione, il viaggio nei tormenti del vivere e dell’animo umano. Il confronto con se stessi e con gli altri, la difficoltà di relazionarsi e di essere compresi, specialmente quando accade qualcosa che spariglia le carte in tavola, che mette in discussione e sconvolge l’esistente.

Birdman è un altro meraviglioso pezzo unico della sua collezione. Si parte da una crisi che apre ad un cambiamento, un attore da blockbuster precipitato in una deriva esistenziale, affettiva, economica, che tenta la sterzata e la riconquista non solo del successo ma anche di se stesso, attraverso la purificazione del teatro. Dal supereroe Birdman, il suo alter ego che diventa allucinazione ingombrante ed ossessiva, oltre che ossessionante. Il punto di non ritorno, il confine con la follia, alla ricerca di un diverso colto, umano. Dagli effetti speciali del cinema agli affetti speciali di uomini e donne, amiche, mogli, figlie.

La commedia tratta da What We Talk About When We Talk About Love (di cosa parliamo quando parliamo d’amore), di Raymond Carver è una grande sfida, l’ultima ciambella di salvataggio per un’esistenza alla deriva, sull’orlo del precipizio.
 Birdman è il racconto di questo viaggio, con tutte le sue difficoltà tra attori capricciosi, figlie e mogli insoddisfatte, perdute ma non completamente, sempre ancora presenti e vicine, l’amico produttore, la velenosa critica teatrale.  Birdman è una jam session teatrale, con la camera che insegue i personaggi, percorre corridoi, cambia direzione e trasmette i sobbalzi e i tormenti del protagonista, un fantastico Michael Keaton, amplificandone il dramma interiore con una batteria che costituisce la colonna sonora quasi esclusiva e palpitante di tutto il film. Una colonna sonora (Antonio Sanchez) presente: si vede il batterista che nel teatro produce il suo drumming incalzante, a tratti angosciante.

Si racconta il teatro con le sue dinamiche, le sue isterie, i suoi sogni, la sua magia. E si mette in discussione tutto: la contrapposizione tra cinema e palcoscenico, il potere di una critica che innalza e abbatte idoli spesso pretestuosamente, il ruolo stesso di una critica che oggi forse non ha più ragione di esistere (vale soprattutto per il cinema) se rinuncia al ruolo di guida per lo spettatore, sfogando piuttosto frustrazioni con una scrittura rancorosa e una superiorità che allontana
L’incrocio tra finzione e realtà: l’attore rampante che non sa essere se stesso se non in palcoscenico, il vero che diventa falso, il falso che può essere tragicamente reale. Parrucchini tolti con sollievo, l’anima che si mette a nudo cercando di ritrovarsi, perchè forse ognuno può essere realmente se stesso solo passando attraverso il riconoscimento degli altri. E non si tratta solo del capriccio di una star del cinema dimenticata, condannata ad essere identificata con un supereroe hollywoodiano.
Un film diverso, una lunga e coinvolgente emozione da condividere con attori che danno il meglio, a cominciare da Michael Keaton, che fu un Batman fin troppo statico e che qui si rivela e conferma invece protagonista di notevole spessore.
E poi quel finale…

Leandro De Sanctis

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